Alcuni ricercatori svedesi ed americani hanno dimostrato sperimentalmente e pubblicato le loro conclusioni su Sciences Advance, suggerendo che l’aumento delle temperature causato dai cambiamenti climatici, potrebbe provocare un’elevazione fino a sette volte dei livelli di mercurio presenti nei pesci che mangiamo.
Il mercurio è l’unico metallo che si trova allo stato liquido a temperatura ambiente ed è uno dei più tossici per l’uomo. La più comune forma di esposizione al mercurio è quella di mangiare pesce contaminato e l’Organizzazione mondiale della sanità lo ha inserito tra le 10 minacce più gravi alla salute, perché può provocare danni al sistema nervoso, digestivo e immunitario, così come a polmoni, reni, pelle e occhi. Sin dall’inizio dell’era industriale la presenza del mercurio nell’ecosistema è cresciuta, secondo gli esperti, dal 200% al 500% soprattutto a causa dell’uso dei carburanti fossili, ma adesso con l’aumento delle temperature – e il conseguente aumento di precipitazioni – soprattutto nell’emisfero settentrionale la concentrazione di mercurio potrebbe crescere di un ulteriore 300%-600% in base a modalità finora non ipotizzate ed emerse dallo studio dell’Università di Umea.
“Con i cambiamenti climatici – ha spiegato Jeffra Schaefer, coautrice dello studio condotto dalla Università svedese di Umea e ricercatrice Usa della Rutgers University – ci aspettiamo un aumento delle precipitazioni in molte aree dell’emisfero settentrionale, con un conseguente aumento del deflusso delle acque nei mari. Questo significa che ci sarà un grande rilascio di mercurio negli ecosistemi costieri che sono i principali luoghi di sostentamento per i pesci che la gente mangia”. In pratica il deflusso porta in mari e laghi materiale organico che favorisce lo sviluppo di batteri a scapito del fitoplancton.
“Quando i batteri diventano abbondanti nelle acque marine e lacustri – spiega Erik Bjorn, autore principale dello studio e ricercatore dell’Umea University – si verifica la crescita di un nuovo tipo di organismi che si ciba di questi batteri”. Il problema, sottolinea il ricercatore svedese, è che ad ogni nuovo ‘gradino’ nella catena alimentare l’accumulo di mercurio, nella forma altamente tossica di metilmercurio, “aumenta 10 volte”. I ricercatori svedesi lo hanno scoperto ricreando le condizioni ambientali di un estuario del Golfo di Botnia, nella Svezia orientale, in un edificio di due piani. Secondo lo studio, con un aumento del deflusso delle acque nei mari del 15%-30%, previsto nello scenario peggiore dei cambiamenti climatici, le concentrazioni di metilmercurio potrebbero aumentare fino al 600% nell’emisfero settentrionale che sarebbe la parte più colpita nel mondo. Il mar Mediterraneo, la parte centrale del Nord America e l’Africa meridionale potrebbero invece registrare delle diminuzioni.
A livello internazionale si è registrato negli ultimi anni un aumento degli sforzi per contenere la minaccia del mercurio, con la convenzione sottoscritta da 139 dal 2013, detta di ‘Minamata’ dalla città giapponese dove nel 1956 venne scoperta una malattia che colpisce il sistema nervoso provocata dal mercurio. I ricercatori sperano che la convenzione abbia successo. Ma “se non facciamo niente per ridurre le concentrazioni di mercurio, questo va aggiungersi a tutti gli altri problemi e le conseguenze potrebbero essere molto gravi”, conclude Bjorn.