Dall’America arriva finalmente un nuovo approccio per prevenire e forse anche curare l’obesità, grazie ad uno studio condotto da ricercatori del MIT e della Harvard Medical School e pubblicato sul New England Journal of Medicine.
Analizzando il circuito cellulare che si trova alla basse dell’associazione genetica con l’obesità, i ricercatori hanno svelato un nuovo percorso che controlla il metabolismo umano richiedendo ai nostri adipociti (cellule del tessuto adiposo), di immagazzinare il grasso o di bruciarlo.
In pratica, gli studiosi hanno finalmente capito come funziona il gene dell’obesità (FTO – fat mass and obesity associated gene), e hanno scoperto un nuovo meccanismo secondo cui una specie di scambio, di interruttore, potrebbe indurre le cellule del grasso a immagazzinare o a bruciare le riserve, influenzando così l’accumulo o la perdita di peso. Le varianti del gene FTO individuate sono associate al rischio di obesità e sono presenti nel 44% degli individui di origine europea, e solo nel 5% dei neri: la loro presenza, però, non vuol dire essere destinati a diventare obesi, ma può predisporre ad esserlo. Tuttavia, finora, nessuna ricerca era riuscita ad individuare i meccanismi per spiegare come queste differenze genetiche contribuiscano o meno a determinare l’obesità; questi nuovi risultati sono quindi molto promettenti.
I ricercatori non sanno, però, quanto tempo potrebbe servire prima di sviluppare un farmaco sulla base dei nuovi dati, e comunque resta improbabile che possa essere sviluppata una “pillola magica” per permettere alle persone di mangiare quello che vogliono senza ingrassare. Tuttavia si aprono nuove prospettive per contrastare l’obesità.