Non solo colesterolo e pressione alta: per valutare il rischio cardiovascolare c’è un indicatore, adottato a livello internazionale, delle possibilità di calcificazione delle arterie coronariche, il cosiddetto Agatston coronary artery calcium (CAC). Sviluppato nel ’90, è ora al centro di uno studio dello Houston Methodist DeBakey Heart & Vascular Center, pubblicato sul British Medical Journal, che gli attribuisce un importante ruolo nella prevenzione primaria delle patologie del cuore.
Si tratta, in concreto, di un valore numerico che cresce con l’aumentare del rischio. Un valore uguale a zero (la cosiddetta ‘potenza dello zero’) in un contesto di bassi livelli di pericolo di malattie cardiovascolare a seguito della terapia preventiva con statine come prevedono le linee guida attuali, potrebbe essere utilizzato per abbassare i livelli di rischio individuali e perciò ridurre se non addirittura abolire certi tipi di terapie, come quelle per il diabete e per gli eccessivi livelli di colesterolo.
“Dato che le placche aterosclerotiche delle coronarie rappresentano il principale substrato per lo sviluppo di eventi coronarici – spiegano i ricercatori – abbiamo voluto valutare se il CAC potesse aiutarci nel completare la valutazione del rischio cardiovascolare individuale”.
Nonostante ampie evidenze scientifiche, diverse barriere hanno rallentato l’adozione del ‘CAC’ come test di routine. I costi inziali della Tac coronarica necessaria a valutare la calcificazione hanno sempre rappresentato un’importante barriera, e uno studio nell’Ohio ha dimostrato che il rendere questo esame gratuito ha fatto aumentare il ricorso per individuare il rischio cardiovascolare.