Attraverso l’applicazione di un nuovo approccio, noto come metabolomica inversa, che combina sintesi organica, scienza dei dati e spettrometria di massa per comprendere al meglio quali molecole vengono secrete dal microbioma e come influenzano la salute dell’uomo, un team dell’Università della California di San Diego (USA) ha individuato nuovi possibili biomarker delle malattie infiammatorie intestinali (IBD). I risultati della ricerca sono stati pubblicati su Nature.
Le molecole prodotte dal microbiota, il microbioma, sono complesse da studiare. Tuttavia, mediante la nuova tecnica il team ha identificato una nuova ‘firma’ metabolomica delle IBD, evidenziando molecole che, secondo gli autori, potrebbero servire, un domani, da biomarker per la diagnosi di IBD o come possibile bersaglio terapeutico.
I ricercatori hanno utilizzato i dati metabolomici accessibili al pubblico e hanno cercato nuovi marcatori. Dall’analisi è emerso che tra 145 acidi biliari dai dati pubblici, 139 non erano mai stati descritti prima. Il team, poi, ha confrontato i ‘marcatori’ metabolomici di campioni provenienti da diverse popolazioni di pazienti, osservando una forte associazione tra una classe di molecole sintetizzate dai microbi, gli amidati della bile, e le IBD, ipotizzando che queste molecole siano in qualche modo coinvolte nella patogenesi delle IBD. Infine, gli scienziati hanno osservato che alcuni amidati erano più elevati nei pazienti con malattia di Crohn, soprattutto in forma attiva. Diversi composti amidati della bile, infatti, promuoverebbero l’infiammazione intestinale alterando la funzione delle cellule T e un composto microbico in particolare avrebbe prodotto un aumento di sei volte dei livelli di una citochina chiave nota per essere coinvolta nella patogenesi della malattia di Crohn, come hanno spiegato gli stessi autori.