Sono sempre meno i giovani che seguono più la Dieta Mediterranea ed motivi sono sostanzialmente due: è “troppo costosa” per la metà dei ragazzi e “fa perdere troppo tempo” per il 38%. Percentuali che scendono, ma non troppo, tra le altre fasce di età, rispettivamente al 42% e al 27%. A farne, invece, una regola di vita è l’85% degli over 65, mentre un italiano su tre preferisce il “fai da te”. A fare il punto, a 14 anni dal riconoscimento della Dieta Mediterranea come patrimonio culturale da parte dell’Unesco, è una nuova indagine dell’Osservatorio Waste Watcher da cui emerge chiaramente che, sul tema, gli italiani hanno ancora tanto da imparare.
Solo il 23% dei giovani tra i 18 e i 24 anni si allinea a questo stile, definendolo però, “un regime che prevede un consumo elevato di carne, pesce e latticini, con un ridotto apporto di carboidrati”. Tra chi ha dai 55 ai 64 anni, invece, il 77% lo definisce “con abitudini equilibrate, basate su olio d’oliva, cereali, frutta, verdura, pesce, carne moderata e il rispetto della stagionalità e della biodiversità”. Per il 30%, invece, il menù mediterraneo si basa su pasta e pizza. D’altra parte, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, solo il 5% ha compreso e adottato questo modello alimentare. L’83,3% lo segue in parte e solo il 4% si dichiara attento alla sostenibilità.
“Rappresento il prototipo del cultore della Dieta Mediterranea – commenta Andrea Segré, fondatore della campagna Spreco Zero e Direttore scientifico dell’Osservatorio Waste Watcher International – a 63 anni mi sento meglio se mangio un poco meno, faccio movimento dopo i pasti e assumo meno carne, mentre una volta ne sentivo di più il bisogno”. Per promuoverla, secondo il rapporto, occorre educazione alimentare nelle scuole (64%) e campagne di sensibilizzazione sulla salute (46%). I giovani, in particolare, chiedono etichette che possano aiutare a scegliere prodotti più idonei per seguire una dieta sana, mentre il 27% propone di tassare i cibi non salutari. Garantire a tutti un’alimentazione sana e sostenibile, significa prevedere un investimento per ridurre le spese sanitarie derivanti dalle malattie causate dalla scorrettezza a tavola.
di Isabella Faggiano