25 novembre 1960. Ojo de Agua in provincia di Salcedo, Repubblica Dominicana. Una data e un luogo per ricordare la triste storia di tre sorelle che si opposero ad una delle dittature più crudeli dell’America latina, quella trujillista. Il 25 novembre è la data scelta, non a caso, dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1999 per celebrare la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Rafael Leónidas Trujillo salì al potere nel 1930 e la famiglia Mirabal fu una delle tante famiglie a ritrovarsi senza beni. Questo scatenò la ribellione delle tre sorelle Mirabal che rivendicavano un diritto che andava ben oltre il riscatto dei beni materiali, la lotta era molto più grande e ambiziosa perché spinta dal desiderio di libertà. Nel 1960, Patria, Minerva e María Teresa Mirabal crearono un movimento politico chiamato Mariposas (farfalle) che si espanse in tutto il Paese per la lotta contro la dittatura. Ma poco dopo, il SIM -Servico de Inteligencia Militar di Trujillo, riuscì a trovare i ribelli e le Mariposas.
Molti di loro vennero fatti prigionieri nel carcere di “La 40” dove subirono la tortura fino a morire. Ma le sorelle Mirabal furono liberate mentre i loro coniugi restarono prigionieri. Il 25 novembre 1960 le sorelle Mirabal, in occasione del viaggio in visita ai mariti nella prigione di Puerto Plata, furono vittime di un brutale piano organizzato dagli agenti del SIM che le violentarono e uccisero. Con la morte delle sorelle Mirabal, “el Jefe” Trujillo pensava di aver messo fine al “problema” alla loro ribellione. Erano donne cosiddette rivoluzionarie e ribelli. Ma è solo una delle tante storie, purtroppo. Uno, tra i tanti episodi nel mondo che interessano le donne. La violenza non ha razza. La violenza non ha colore. Secondo i dati ONU, il 35% delle donne nel mondo ha subito una violenza fisica o sessuale, dal proprio partner o da un’altra persona. La maggior parte delle vittime subisce atti di violenza fisica e/o stupri da parte del compagno e spesso la denuncia viene presentata a distanza di tempo rispetto al primo episodio.
In Italia, secondo i dati Istat 2015, sono 6 milioni e 788 mila le donne che hanno subito nel corso della propria vita una violenza fisica o sessuale. E il 31,5% di queste donne ha un’età compresa tra i 16 e i 70 anni, un rapporto di una su tre. Negli ultimi 5 anni risulta una diminuzione delle violenze ma è aumentata la percentuale dei figli che assistono. Qualcosa ci dice che c’è molto da fare. Ad esempio, in Italia abbiamo la Legge 119 del 15 ottobre 2013 in materia di contrasto alla violenza di genere, e anche la Legge n. 107 del 13 luglio 2015, quella per contrastare le diseguaglianze socio-culturali e territoriali e sull’educazione alla parità tra i sessi nelle scuole.
Bene, le leggi ci sono, ma non bastano. Il governo ha stanziato dei fondi alle Regioni per istituire i Centri Antiviolenza territoriali per assistere e accogliere le donne-vittime di violenza. Cosa manca? O meglio, qual è la carenza? Sarà quella carezza in più da parte del partner? O forse un pensiero che vada al di là degli stereotipi, del porgere l’altra guancia o dei soliti cliché secondo i quali occorre più disciplina e meno comprensione. Ma forse quella della comprensione passa per la conoscenza di sé, l’unica strada che può portarci a vedere le cose da un punto di vista nuovo: prima di rispettare l’essere umano diverso dovremmo realizzare davvero l’idea di essere umano. “Essere” umani è riconoscersi allo specchio e riconoscere così anche l’altro.
Silvia Brugnara