La depressione è una malattia che colpisce il 12,5% della popolazione assistibile, di cui solo il 34,3% assume farmaci antidepressivi. Questi gli allarmanti dati del Rapporto OsMed (Uso dei farmaci in Italia) 2013, presentato dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa). La situazione diventa più drammatica se pensiamo che, secondo la Relazione del 2011 dell’ECNP (European College Neuropsychopharmacology) che ha condotto uno studio triennale, coinvolgendo trenta paesi (Unione Europea, Svizzera, Islanda e Norvegia) e una popolazione complessiva di 514 milioni di persone, sono 30,3 milioni le persone affette da Depressione Maggiore in Europa. Di questo e di molto altro hanno parlato gli specialisti internazionali riunitisi a Roma presso l’Accademia dei Lincei per il Forum di Neuroscienze.
Il 50% dei pazienti, non ottiene alcun risultato da una prima terapia e per questo abbandona la ricerca di una cura migliore rischiando così di cronicizzare la propria patologia depressiva. La malattia si manifesta con vissuti di profonda tristezza, dolore morale, senso d’inutilità, disperazione, perdita dello slancio vitale, incapacità di provare gioia e piacere, disinteresse per le normali attività, inadeguatezza nello svolgimento del lavoro abituale. Quello che prima era semplice diventa difficile, non è possibile partecipare alla vita sociale, non si prova più alcun interesse. Il paziente lamenta di non provare più affetto per i propri cari, di sentirsi distaccato da qualsiasi situazione.
Alla depressione si associano frequentemente anche disturbi cognitivi che tendono a manifestarsi per oltre il 94% del tempo nel corso degli episodi depressivi, rappresentati da difficoltà di attenzione, nella concentrazione e nella memorizzazione. Il rallentamento ideativo si traduce in incertezza e in alcuni casi in incapacità di prendere qualunque decisione, anche la più semplice, creando notevoli disagi e scadimento delle prestazioni. Sebbene i sintomi cognitivi della depressione siano spesso frequentemente associati alla depressione e causino problemi nelle funzioni e nella produttività sul lavoro, vi è ancora una scarsissima consapevolezza al riguardo.
L’impatto sulla qualità della vita è quindi drammatico sia per il paziente che per tutta la famiglia poiché corrode il funzionamento individuale e sociale della persona, riducendo la capacità di interpretare un ruolo “normale” nelle diverse attività in ambito familiare, socio-relazionale e lavorativo. Le persone con questo disturbo sembrano ‘scomparire’ dalla vita sociale e lavorativa.