Congresso SIDeMaST. Malattie dermatologiche immunomediate. Nuove chance di cura con farmaci biologici e anticorpi monoclonali

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Pelle sempre più “pulita” per i pazienti con psoriasi. Infiammazione “sedata” per quanti, colpiti da idrosadenite, conosciuta anche come acne inversa, devono combattere con fastidiosi noduli infiammati, ascessi e fistole alle ascelle e all’inguine. Ma anche nuove chance di cura per pazienti con pioderma gangrenoso, psoriasi pustolosa, malattie bollose e vasculiti (al centro dell’attenzione mediatica a causa della loro probabile associazione al Covid-19), patologie rare e meno conosciute ai più, che impattano pesantemente sulla qualità di vita e sulla socialità.

A consentire il giro di boa alle persone affette da malattie dermatologiche immunomediate per navigare in acque più tranquille sono i farmaci biologici di nuova generazione e gli anticorpi monoclonali, ma anche altre opzioni terapeutiche e indicazioni che i dermatologi italiani offrono ai loro pazienti.

Sono queste alcune delle novità del 96esimo Congresso SIDeMaST, la Società Italiana di Dermatologia e delle Malattie Sessualmente Trasmesse presieduta dalla Prof. Ketty Peris. Il Congresso nazionale, organizzato al MICo di Milano dal 22 al 25 giugno, è presieduto da Angelo Valerio Marzano, Paolo Daniele Pigatto e Franco Rongioletti.

La psoriasi è la più famosa tra le patologie dermatologiche ed interessa ben 3 italiani su 100. Spesso erroneamente intesa come malattia puramente cutanea, si accompagna frequentemente a numerose comorbidità (articolari o cardiovascolari, per esempio) per cui occorre un trattamento terapeutico integrato e multidisciplinare. Da qualche anno è in atto una vera rivoluzione grazie ai farmaci biologici che, spegnendo l’infiammazione della pelle, permettono ad un numero sempre crescente di pazienti di recuperare una qualità di vita soddisfacente: “I dati sul trattamento della psoriasi – spiega Valerio Marzano, Presidente del Congresso e Professore  Ordinario di Dermatologia Università degli Studi di Milano, Direttore Uoc Dermatologia Fondazione Irccs  Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano – risentono delle differenti scelte di carattere regionale, ed è quindi difficile fare una stima corretta per tutto il territorio nazionale. Per esempio nel Centro psoriasi al Policlinico di Milano seguiamo più di 1.500 pazienti e 900 sono in terapia biologica. E gli outcome, specie con i farmaci più recentemente introdotti, ci mostrano che nel 60-70% la pelle dei pazienti si pulisce completamente, e i restanti presentano un ottimo miglioramento. Il ventaglio terapeutico presente e futuro per questa patologia è molto ampio, però sintetizzando molto possiamo dire che disponiamo di farmaci biologici anti-TNF, anti-interleuchina 17 e anti-interleuchina 23”.

La psoriasi pustolosa è invece una forma rara della patologia rimasta per molto tempo orfana di terapie specifiche. È forse la forma più grave di psoriasi, caratterizzata da numerosissime pustole sterili diffuse sul corpo e da malessere generale, febbre, brividi. “Poiché è diversa dal punto di vista molecolare rispetto alla psoriasi comune – continua il Presidente Marzano – è stato necessario progettare un approccio differente per poterla trattare. Dopo tanto tempo sembra finalmente che questo approccio stia per dare i suoi frutti, grazie all’arrivo nel nostro arsenale terapeutico di un nuovo farmaco ad hoc, un anticorpo monoclonale, spesolimab, diretto contro il recettore dell’interleuchina 36, molecola chiave nella genesi della malattia”.

L’idrosadenite suppurativa, conosciuta anche come acne inversa, si manifesta soprattutto con noduli infiammatori, ascessi e fistole a livello ascellare e inguinale. Anche quando è lieve o moderata impatta pesantemente sul paziente sia in termini di qualità di vita sia a livello psicosociale. Si può a ben diritto definire la malattia del terzo millennio tra quelle dermatologiche, attualmente la prevalenza è pari a circa l’1% della popolazione, ma i dati sono in aumento. La sua frequenza in passato infatti era molto sottostimata, anche per l’imbarazzo e la ritrosia dei pazienti a parlarne. Solo negli ultimi anni sta infatti ricevendo l’attenzione che merita, in termini assistenziali e di ricerca.

Tra i fattori di rischio riconosciuti ci sono sicuramente il fumo di sigaretta, che facilita il meccanismo scatenante, ossia l’infiammazione del follicolo pilifero e l’obesità o comunque il sovrappeso che provocano una maggiore frizione delle zone di piega. Inoltre va evitato l’utilizzo di deodoranti aggressivi, anche se risulta smentita l’ipotesi di un loro ruolo nella patogenesi di questa malattia.

Ma come si cura l’idrosadenite e al tempo stesso come si risolve il problema del cattivo odore quando sono localizzate nella zona ascellare? “Per le regioni infiammate – afferma il Prof. Marzano – più che un deodorante, che comunque si può utilizzare, resta fondamentale la cura locale della zona interessata, con detergenti antisettici e antibiotici topici. Inoltre a questi pazienti va sempre consigliato di indossare abiti comodi che non sfreghino sulle zone di piega. Infine, alla rasatura di tali zone, andrebbe preferita l’epilazione laser, non solo perché la rasatura può portare a follicoliti e all’incarcerazione del pelo, ma soprattutto perché la distruzione laser-assistita del pelo ricopre una funzione preventiva: dove è stato distrutto infatti la malattia non viene”.

Anche il ventaglio di opzioni terapeutiche è molto aumentato: spazia dagli antibiotici topici a quelli sistemici, per arrivare fino ai farmaci biologici anti-TNF, la cui introduzione ha rappresentato un momento “storico” nella terapia dell’idrosadenite. Il primo farmaco biologico per questa malattia, ormai disponibile da alcuni anni è stato adalimumab che, pur non curandola in modo definitivo, spegne significativamente la componente infiammatoria legata per esempio alla presenza di noduli infiammatori e cisti o ascessi. Sono però all’orizzonte altre opzioni, già approvate nella psoriasi ma non ancora disponibili nell’idrosadenite, vale a dire gli inibitori dell’interleuchina 17 e gli inibitori dell’interleuchina 23, che stanno dando dei risultati preliminari promettenti.

Il pioderma gangrenoso è una patologia cutanea che si manifesta con la comparsa di ulcere sulla pelle, caratterizzate da un tipico bordo violaceo. Il pioderma può essere anche spia di alcune malattie del sangue o di altre infiammatorie croniche dell’intestino. Soprattutto negli ultimi anni la ricerca ha fatto passi avanti importanti nella comprensione delle cause e quindi nell’ottimizzazione della diagnosi e della terapia.

La scoperta fondamentale riguarda il ruolo determinante della predisposizione genetica: “Grazie alle tecniche di sequenziamento di nuova generazione, chiamate NGS o next generation sequencing – spiega il Prof. Marzano – la genetica sta rivoluzionando l’approccio nei confronti di malattie infiammatorie che si manifestano nell’età adulta, chiarendo come esistano dei fattori di predisposizione inscritti nel codice genetico. Come sempre in questi casi si parte dalle forme più gravi, nel caso del pioderma dalle varianti sindromiche, per allargare sempre più il campo d’azione a casi di più comune riscontro. Si è scoperto così che numerosi geni coinvolti nelle risposte dell’immunità innata possono presentare delle piccole alterazioni in questi pazienti. Per fortuna – prosegue – ci vengono incontro le terapie con i farmaci biologici, sempre più protagonisti. Tali terapie, che entrano in azione quando cortisone e ciclosporina non sono sufficienti, sono l’infliximab e altri biologici appartenenti agli anti-TNF e gli inibitori dell’interleuchina 1. Anche qui però gli inibitori dell’interleuchina 12/23, gli inibitori dell’interleuchina 17 e dell’interleuchina 23 e gli inibitori del complemento sembrano prossimi ad inserirsi nel panorama terapeutico”.

Sotto i riflettori del96esimo congresso SIDeMaST, ci sono infine le vasculiti cutanee e le malattie bollose autoimmuni, patologie di grande attualità. Le prime consistono nell’infiammazione dei vasi sanguigni della pelle e sono state al centro dell’attenzione mediatica per la possibile associazione con la Covid-19. Le seconde rappresentano da tempo una delle principali sfide per il dermatologo, trattandosi di quadri clinici talora severi in cui degli auto-anticorpi, vale a dire anticorpi che aggrediscono noi stessi, colpiscono particolari molecole che tengono “uniti” gli strati della pelle e provocano la formazione di bolle.

Nel trattamento delle vasculiti i ricercatori stanno cercando di arrivare sempre più a terapie basate sulla patogenesi, che quindi vadano a colpire il meccanismo alterato nella singola malattia, per garantire il miglior beneficio al paziente. Le opzioni terapeutiche includono anche lo steroide sistemico e un’ampia gamma di farmaci immunomodulanti e immunosoppressori, quali il dapsone, l’azatioprina, la ciclofosfamide. Nei casi più ostici anche farmaci biologici, come il rituximab, oppure approcci terapeutici diversi come le immunoglobuline endovena e la plasmaferesi.

Tra le malattie bollose autoimmuni, il pemfigoide bolloso ha visto aumentare di molto la sua incidenza negli anni, come conferma un recente studio inglese dal titolo: The global incidence of bullous pemphigoid: a systematic review and meta-analysis. Tant’è che facendo riferimento solo alla popolazione anziana, la maggiormente colpita, il pemfigoide bolloso sta ormai uscendo dal campo delle malattie considerate rare. Una possibile spiegazione ulteriore dell’aumento dell’incidenza può essere attribuita all’utilizzo su larga scala delle gliptine, farmaci per la cura del diabete, malattia sempre più frequente nella popolazione anziana, che in alcuni soggetti predisposti potrebbero scatenare la malattia.

Per quanto concerne le terapie, sia per le malattie del gruppo del pemfigo sia per quelle del gruppo del pemfigoide, la prima linea terapeutica è senz’altro costituita dai corticosteroidi topici e sistemici, impiegati a basse dosi per i noti effetti collaterali, che gravano particolarmente nei soggetti anziani; anche se in particolare per il pemfigo sempre più evidenze puntano al rituximab, anticorpo monoclonale diretto contro le cellule che producono anticorpi, come possibile farmaco di prima linea.

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