Una generazione “drogata dal virtuale” e sempre più incapace di distinguere il gioco dalla realtà effettiva. Sono gli adolescenti ed i giovanissimi dell’era Covid: la pandemia, avvertono gli psichiatri, ha acuito l’isolamento portando a rifugiarsi sempre di più in un mondo virtuale nel quale la violenza è un gioco e spingendo a replicare questo schemi anche nella vita quotidiana, senza avere però percezione delle conseguenze dei propri atti. Come dimostrano, affermano, recenti episodi di cronaca, ultimo dei quali l’omicidio di una ragazzina per mano di 4 sue coetanee in Usa e trasmesso in diretta sui social.
“Siamo dinanzi ad una generazione di giovanissimi drogati dal virtuale – spiega all’ANSA il presidente della Società italiana di psichiatria (Sip) Massimo Di Giannantonio – Una situazione già esplosa nel recente passato ma che è stata ora pericolosamente acuita dalla pandemia. Proprio la pandemia, infatti, ha chiuso i ragazzi a casa, ha impedito le relazioni ed ha portato soprattutto i giovanissimi a chiudersi sempre più in sé stessi, creando un terribile circolo vizioso”. E’ come se, afferma, “i giovani vivessero in un contenitore chiuso dove la mancanza di confronto porta a pensare che tutto sia possibile. C’è una sorta di senso di onnipotenza e si vive una realtà virtuale in cui la percezione della morte, ad esempio, è falsata, perché tutti muoiono ma possono poi rialzarsi come nulla fosse. Alla fine si perde il senso della distinzione tra realtà effettiva e mondo virtuale e la violenza dei giochi può essere replicata nel mondo reale ma perdendo la percezione di ciò che effettivamente si sta facendo e delle sue conseguenze concrete”.
Anche secondo il co-presidente Sip Enrico Zanalda la pandemia ha sicuramente pesato molto, incentivando l’isolamento e l’utilizzo dei social media in modo eccessivo. Non va però dimenticato, rileva, “che gli adolescenti, come dimostra la tragica morte della ragazzina in Usa, possono essere molto crudeli ‘naturalmente’: hanno cioè una minore capacità di comprendere la differenza tra vita e morte ed anche una maggiore propensione a rischiare la propria vita, e questo perché la morte appare lontana e ancora intangibile. E l’esistenza in remoto a cui la pandemia ha costretto ha acuito questo distacco dalla realtà”.
A ciò, aggiunge, “si somma anche una componente di emulazione e protagonismo, come credo sia accaduto nel caso della ragazzina uccisa negli Stati Uniti, in cui la violenza del gioco si riporta nella realtà anche per distinguersi dagli altri”. La soluzione non è semplice ma sicuramente “tutto questo rende chiara la necessità di non abbandonare i giovani a se stessi ed al loro mondo di app e social, tanto più in questo periodo difficile. I cellulari dei giovanissimi vanno controllati da parte dei genitori e lo sforzo maggiore – conclude Di Giannantonio – deve essere quello di ricostruire relazioni vere con gli adolescenti, ritrovando una dimensione di contatto interpersonale e non virtuale”.
di Manuela Correra