Sulla scia della riscoperta delle sue proprietà salutistiche (non è un prodotto chimico, non è idrogenato ed è ricco di nutrienti come calcio, sali minerali, vitamina A), il burro appare finalmente alla riscossa e la domanda cresce. Gioca a suo favore anche il progressivo abbandono da parte dell’industria alimentare dell’olio di palma, accusato di contenere sostanze cancerogene.
L’analisi Coldiretti
Con il recupero di popolarità, il burro vola alto anche nelle quotazioni: Coldiretti rileva come il prezzo alla produzione sia raddoppiato in un solo anno (+113%), fino al picco di 5,04 euro al chilo registrato nell’ultima seduta della Borsa di Milano, ovvero il massimo da cinque anni. Il balzo del prezzo alla produzione – osserva Coldiretti – giunge dopo anni di “quotazioni insostenibili”, al di sotto dei prezzi di produzione, che avevano messo in crisi gli allevamenti italiani.
Ma la rivincita del burro è accompagnata dalle ripresa sul mercato di un po’ tutti i prodotti lattiero-caseari, dalla panna alla crema di latte, dal formaggio al latte spot. Quest’ultimo alla Borsa di Lodi, principale piazza di riferimento per il nord Italia, ha toccato i 45,36 centesimi al litro, il valore più alto dal 2014, con una crescita di quasi il 27% rispetto all’agosto del 2016.
I consumi procapite di burro – precisa la Coldiretti – sono aumentati nel 2016 dall’Australia (23%) al Canada (+7%) fino agli Stati Uniti (+2%). Tra i maggiori consumatori mondiali c’è la Nuova Zelanda, con 6,13 chili, seguita dall’Unione Europea con 4,71 chili, ma livelli elevati si registrano anche in India con 3,91 chili e negli Stati Uniti con 2,63 chili.
“L’inversione di rotta di latte e burro – osserva Coldiretti – avviene in un contesto produttivo che negli ultimi dieci anni ha visto praticamente dimezzato il numero di stalle presenti, tanto da aver raggiunto il minimo storico di 30mila allevamenti, rispetto ai 60mila attivi nel 2005. Un fenomeno causato dal crollo del prezzo pagato agli allevatori”.
“Una situazione insostenibile – conclude Coldiretti – che richiede una decisa inversione di tendenza, poiché da salvare ci sono i 120mila posti di lavoro nell’attività di allevamento da latte che generano lungo la filiera un fatturato di 28 miliardi, la voce più importante dell’agroalimentare italiano dal punto di vista economico ma anche dal punto di vista dell’immagine del Made in Italy”.