Il fumo, il consumo dello smalto e l’azione ‘colorante’ di alcuni cibi e bevande macchiano i denti, con un effetto che invecchia tutto il viso. Tanto che almeno un italiano su due ha utilizzato dentifrici, gel, collutori o altri schiarenti fai da te, per un giro d’affari che si stima superi il miliardo di euro. Ma pochi sanno in cosa consista la procedura di sbiancamento dei denti dal dentista, e come si differenzi dai trattamenti schiarenti casalinghi, che rischiano di danneggiare denti e anche gengive.
Si stima che un terzo di tutti gli interventi odontoiatrici estetici sia realizzato per rendere brillante la dentatura. Ma ci sono alcune cose da sapere per non creare danni. Innanzitutto, non può esser fatto sbiancamento in un paziente che ha un’infiammazione cronica delle gengive in corso. “La parodontite – spiega Silvia Masiero, esperta della Società Italiana di Parodontologia e implantologia (Sidp) – deve esser risolta prima dello sbiancamento, perché se è presente una tasca parodontale i prodotti utilizzati possono rovinare l’apparato di attacco del dente e il legamento. Inoltre va spiegato al paziente che, una volta curata l’infiammazione, la gengiva si contrae e si scopre una parte di dente non rivestita da smalto: tale parte non si sbianca e si può creare un effetto bicolore”.
Prima di intervenire, poi, “bisogna eliminare le macchie superficiali, procedendo a un’approfondita igiene dentale in uno studio professionale”. Arrivati al dunque, ci sono 3 opzioni per procedere. Con il fai da te si ottengono minimi risultati: “prima si usavano bicarbonato, salvia, limone, menta o white strip per rimuovere la patina superficiale che offusca i denti. Ora ci sono nuovi composti a base di perossido di idrogeno o di carbammide, che danno però un risultato non paragonabile a trattamenti gestiti dal personale specializzato”, spiega Masiero. C’è una seconda opzione di sbiancamento effettuata completamente dal professionista “ma a volte è troppo aggressiva sul dente perché realizzata in breve tempo e con concentrazioni aggressive di prodotto sbiancante”.
La terza opzione, quella ottimale, “è basata su trattamenti personalizzati alla poltrona, ma gestiti poi a domicilio dal paziente sotto la supervisione del dentista, con un gel da utilizzare all’interno di una mascherina indossata di notte”. Questo metodo “ossigena il dente e agisce sulle molecole responsabili del colore scuro ma preserva smalto e gengive”. E’ bene sapere inoltre che, “nei giorni successivi al trattamento, è sconsigliato mangiare alimenti pigmentanti come mirtilli, cioccolato, barbabietola, vino, caffè e tè”. Esistono, infine, alcuni dentifrici abrasivi ma, conclude l’esperta, “va evitato l’uso costante, perché rendono lo smalto poroso e più facilmente macchiabile e aggredibile da carie”.