Mangiare in gravidanza, si sa, potrebbe comportare qualche problema. Tra le nausee che tolgono la voglia di ingerire qualunque cosa e quegli alimenti che sarebbe meglio evitare per non incorrere, nei casi a rischio, nella toxoplasmosi, oppure ancora la voglia di mangiare solo alimenti ad alto contenuto di grassi, pranzi e cene possono diventare un pensiero. Un aiuto però può arrivare dalla dieta mediterranea che può aiutare a ridurre il rischio di ingrassare troppo nei nove mesi e anche il rischio di sviluppare il diabete gestazionale, una complicanza metabolica della gravidanza che può avere ricadute su mamma e bambino. Lo suggeriscono i risultati di un progetto di ricerca chiamato ESTEEM, resi noti sulla rivista PLOS Medicine da Shakila Thangaratinam della Queen Mary University of London.
ESTEEM ha coinvolto 1.252 gestanti, tutte con fattori di rischio metabolici che sono state suddivise in due gruppi per tutto il periodo della gravidanza. A 627 donne è stata assegnata una dieta mediterranea con abbondanza di frutta e verdura, frutta secca, olio extravergine, cereali integrali e legumi, consumo moderato ma regolare di pesce, basso consumo di carne, specie quella rossa e molto lavorata. Le donne sono state seguite con regolarità ricevendo di volta in volta le raccomandazioni su come rispettare i precetti di questa alimentazione. Le restanti 625 gestanti, invece, come gruppo di controllo, hanno solo ricevuto raccomandazioni dietetiche generali secondo le linee guida britanniche.
A fine gravidanza le donne del primo gruppo avevano preso mediamente solo 6,8 chili contro gli 8,3 chili in media presi dalle gestanti del gruppo di controllo. Inoltre per le donne che hanno seguito la dieta mediterranea il rischio di sviluppare il diabete in gravidanza è risultato del 35% inferiore che per le altre donne. “Studi futuri dovranno verificare l’effetto anche a lungo termine per il bambino dell’esposizione in utero alla dieta Mediterranea. Ad esempio sul rischio di obesità infantile, allergie e asma, nonché sul rischio materno futuro di sviluppare il diabete”, spiegano gli autori dello studio.