Se è vero che nell’adulto un regime alimentare troppo rigido e povero di vitamine può portare a danni all’organismo, stesso può accadere anche nei bambini piccoli, ma con effetti ancora più importanti. A lanciare l’allarme è Andrea Vania già professore aggregato di Pediatria all’Università Sapienza di Roma e Responsabile del centro di dietologia e nutrizione pediatrica del Dipartimento di Pediatria dell’Università Sapienza di Roma. “Mentre nell’adulto perché ci siano dei danni visibili, delle conseguenze sulle salute, possono essere necessari anche anni, quindi la persona può non rendersi conto che ci sono delle carenze, – spiega Vania – nel caso di organismi in crescita, feto e poi bambino piccolo, le carenze tendono a dare delle conseguenze sulle salute in tempi abbastanza rapidi”. È il caso della carenza di vitamina B12, la vitamina contenuta in particolare negli alimenti di origine animale che danneggia in brevissimo tempo lo sviluppo psicomotorio del bambino.
“Noi non abbiamo un vero deposito della vitamina B12, essendo una vitamina idrosolubile, però in qualche modo l’organismo di un adulto riesce ad utilizzarla con una tale parsimonia che prima che si abbiano danni passano davvero anni, è stato calcolato che servano dai 5 ai 7 anni, e si manifestano soprattutto come anemia. Nel bambino piccolo, così come nel feto, la B12 è particolarmente importante per lo sviluppo neurologico. In quelli che sono chiamati i primi mille giorni succede la gran parte dello sviluppo neurologico del bambino: ogni momento l’intero periodo è talmente critico che se si manifestano danni, questi difficilmente possono essere corretti a posteriori. Nel caso della B12 poco si può fare per correggerli e quindi questo bambino finisce per avere un danno neurologico permanente”, prosegue il professore. Danni permanenti che possono interessare quindi lo sviluppo neuro-cognitivo e quello psicomotorio dei bambini, confermati anche dai più recenti studi.
La dieta migliore resta quindi quella mediterranea, di cui Vania è grande sostenitore perché, spiega, “è uno dei migliori esempi di dieta che è sia adeguata sia sostenibile anche da un punto di vista ambientale: la dieta mediterranea vera (non quella che segue la maggior parte di noi, che è molto spostata verso l’eccesso proteico) prevede piccole quantità di proteine animali, non li prevede tutti i giorni però ci sono; c’è dentro praticamente di tutto, tutti i tipi di cereali, tutti i tipi di verdure, tutti i tipi di frutta. È uno schema di alimentazione che non solo può essere seguito da chiunque ma che è probabilmente tra i migliori al mondo. D’altra parte se è stata inserita nel patrimonio immateriale dell’umanità ci sarà pure una ragione. C’è di tutto, con le quantità adeguate, senza esagerare, ed è sostenibile da un punto di vista ambientale”.
La dieta deve rispondere a tre criteri, a tre “cardini” validi per una qualsiasi alimentazione corretta: “Equilibrio, il che significa che non posso mangiare solo una cosa; varietà, più la nostra dieta è variata e più è facile coprire in qualche modo i fabbisogni. In alimentazione la monotonia non fa che aggravare gli errori; moderazione”, cioè non mangiare chili di un alimento solo perché ci piace e fa bene.
Ai rischi che una dieta povera di vitamine e proteine può comportare sui bimbi, la Sipps (Società Italiana Pediatria Preventiva e Sociale), insieme a Fimp (Federazione Italiana Medici Pediatri), Sima (Federazione Italiana di Medicina dell’Adolescenza) e Simp (Società Italiana Medicina Perinatale), hanno dedicato un Position paper alle “Diete vegetariane in gravidanza e in età evolutiva” , presentato ormai tra anni fa ma che rimane comunque l’ultimo lavoro completo fatto sull’argomento , e attualmente in fase di aggiornamento.
Quanto alle diete vegetariane o vegane in genere, “il problema principale non è di per sé la dieta” ma “l’appropriatezza degli apporti; il che dipende non solo da come la dieta viene strutturata ma anche dall’avere la consapevolezza che possono essere sono necessari una serie di aggiustamenti con l’uso di integratori di varia natura perché altrimenti quelle carenza nutrizionali vanno ad esplicitarsi”.
Per il professore “c’è un problema di fondo collegato con la tipologia della persona vegetariana di cui parliamo. I vegetariani o vegani che lo sono per cultura ancestrale, familiare, sanno mettere bene insieme le cose e hanno pochi danni, anzi spesso non ne hanno per niente. I vegetariani o vegani d’accatto spesso non avendo alle spalle una cultura nutrizionale che li sostenga, fosse anche da tradizione, non hanno contezza della pericolosità del fare o non fare certe cose. Di per sé dal punto di vista delle proteine non ci sarebbero problemi perché “le proteine vegetali possono comunque essere accoppiate correttamente in modo tale che non vi sia una carenza”. I problemi vengono quando si va ad analizzare le diete fatte da queste persone soprattutto nella società occidentale, spesso le diete sono troppo ricche di carboidrati semplici, oppure al contrario di troppe fibre”. E questo anche perché “il risultato della nostra nutrizione non è dato soltanto dalla disponibilità del cibo ma da una serie di fattori, vedi anche il marketing, e se ho modo di riempirmi la pancia con cose facili da trovare, gustose di sapore anche se non sono giuste da un punto di vista nutrizionale è più facile che lo faccia. Il risultato finale è che la alimentazione è carente di nutrienti specifici ma anche piuttosto sbilanciata”.
La cosa più importante allora, se una persona decide, anche con motivazione etiche, un tipo di dieta particolare, ad esempio una delle tante varietà di dieta vegetariana, è di poter accompagnare queste persone per evitare che facciano errori. Allora al di là di una dieta o di una alimentazione specifica, la cosa più importante è che queste persone si facciano guidare da esperti che abbiano le competenze, nutrizionisti esperti di questo tipo di problematiche e che non siano “di parrocchia”, cioè non persone ideologicamente schierate”.