Ci potrebbe essere una molecola chiamata oleoiletanolamide (OEA) alla base della prevenzione di un pericoloso disturbo alimentare denominato Binge Eating Disorder (Bed). Ad suggerirlo è uno studio italiano condotto dai ricercatori dell’Università Sapienza di Roma e dall’Università di Camerino su modello animale e pubblicato su Neuropsychopharmacology. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.
Premessa
Caratterizzato da episodi ricorrenti di abbuffate fuori controllo, analoghe a quelle della bulimia, ma non seguiti da atti compensatori o di eliminazione come l’induzione del vomito o l’auto-somministrazione di lassativi, il Binge Eating Disorder (Bed) è un disturbo alimentare che spesso può nascere da situazioni di stress. Rifugiarsi nel cibo è infatti un atteggiamento comune a molte persone per sfuggire a emozioni negative e per gratificarsi attraverso i piaceri della vita. Questo perché molti alimenti, soprattutto quelli ricchi di zuccheri, costituiscono una fonte di energia immediatamente disponibile per l’organismo e allo stesso tempo stimolano la trasmissione dopaminergica nel cervello, il neurotrasmettitore associato alla motivazione e al senso di gratificazione. Mai come in questo momento di emergenza da Covid-19, unico nel suo genere, il rischio di cedere alle “lusinghe” del cibo è alto ed il pericolo che una piccola trasgressione diventi patologia è sempre in agguato. È questo il caso proprio del Binge Eating Disorder.
I trattamenti più significativi e attualmente disponibili per il Bed prevedono una combinazione di psicoterapia e farmacoterapia, quest’ultima generalmente basata su farmaci antidepressivi. Tuttavia, il fatto che il tasso di ricaduta sia ancora molto elevato evidenzia la necessità di individuare strategie più efficaci.
Lo studio
I due gruppi di ricerca coordinati rispettivamente da Silvana Gaetani del Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia Vittorio Erspamer dell’Università Sapienza e da Carlo Cifani della Scuola di Scienze del Farmaco e dei Prodotti della Salute dell’Università di Camerino (entrambi coordinatori del Gruppo di Lavoro “Obesità, Sindrome Metabolica e Disordini Alimentari” della Società Italiana di Farmacologia), hanno identificato in una molecola, l’oleoiletanolamide, che potrebbe diventare un nuovo strumento farmacologico per prevenire e contrastare il disturbo da alimentazione incontrollata.
Il crescente interesse della comunità scientifica per l’oleoiletanolamide, più nota con il suo acronimo OEA, deriva dal suo ruolo ben caratterizzato come segnale di sazietà per il cervello e come regolatore del metabolismo, soprattutto quello dei grassi. In questo panorama di scoperte chiave sul ruolo dell’OEA, il team Sapienza ha dato negli ultimi quindici anni un significativo contributo.
“Oggi sappiamo – spiegano Adele Romano della Sapienza e Maria Vittoria Micioni Di Bonaventura dell’Università di Camerino, entrambe primi co-autori dello studio – che l’OEA è in grado di prevenire lo sviluppo di un comportamento alimentare anomalo, di tipo binge, e agisce modulando l’attività di circuiti cerebrali che rispondono alle proprietà piacevoli del cibo e/o all’esposizione a una condizione stressante”.
“Le prove scientifiche che abbiamo fornito – aggiunge Silvana Gaetani – sono state ottenute in un modello sperimentale di BED, sviluppato dal team di Carlo Cifani, e sebbene debbano essere confermate in pazienti affetti da BED, fanno ben sperare che l’OEA possa essere effettivamente un nuovo potenziale alleato per la prevenzione o la cura dei disturbi del comportamento alimentare”.
Anche conosciuto come ‘binge eating’, questo disturbo è caratterizzato da episodi ricorrenti di assunzione di cibo incontrollata, come accade per la bulimia, ma in questo caso non sono seguiti da atti compensatori o di eliminazione, come l’induzione del vomito o l’auto-somministrazione di lassativi.