L’emicrania è una malattia prevalentemente femminile. Le donne italiane, infatti, soffrono più degli uomini (a livello generale, per la malattia, la proporzione è di uno a tre), perdono più giorni di lavoro (16,8 l’anno contro i 13,6 dei maschi) e giornate di vita sociale (26,4 contro 20) e sono maggiormente soggette al fenomeno del presentismo, ovvero a giornate in cui si presentano al lavoro in condizioni di malessere (51,6 giorni contro 35,6).
A causa di un reddito inferiore a quello dei maschi, però, spendono meno per diagnosi e cura (1.132 euro l’anno contro 1.824) e riportano una perdita di redditività minore. E’ questo il quadro delineato dallo studio Gema (Gender&Migraine) del Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale (Cergas), che ha indagato i costi diretti sanitari, non sanitari e le perdite di produttività associate all’emicrania attraverso un’indagine effettuata su un campione di 607 pazienti adulti con almeno 4 giorni di emicrania al mese.
La rilevazione è stata effettuata nel mese di giugno 2018. “Gli uomini che hanno più reddito delle donne – spiega Carla Rognoni del Cergas (Centro di Ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale) Sda Bocconi School of Management all’anteprima del progetto ‘The Beating Brain. Emicrania: arte e neuroscienza contro il disagio’ – possono permettersi di spendere di più per i trattamenti o per gli esami o altre prestazioni sanitarie non coperte dall’Ssn. Le donne che hanno redditi inferiori spendono meno, anche se stanno peggio. Hanno una qualità di vita peggiore e si recano più spesso a lavoro in condizioni di malessere. Bisognerebbe fornire dei sostegni economici per ridurre questo gap. Proporre delle politiche che vadano in questa direzione”.