Forte desiderio di cibo salato? E’una specie di tossicodipendenza

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saleIl desiderio irrefrenabile di mangiare cibi salati, che si manifesta come una forma di tossicodipendenza, ha una spiegazione scientifica: il cervello può essere programmato per desiderare il sale anche se l’organismo non ne ha bisogno, anzi ne resta danneggiato. Lo rivelano scienziati australiani, che in esperimenti su topi hanno identificato l’area del cervello da cui si origina la voglia di sale e anche il meccanismo che entra in azione.

Studi sui topi

Negli esperimenti su topi gli studiosi hanno usato modelli di privazione e di gratificazione da sale e hanno osservato come il processo di gratificazione legato al sale coinvolga il rilascio di oppioidi endogeni entro il cervello. La gratificazione da appetito da sale aumentava nei topi dipendenti da oppiacei, rivelando un legame fra comportamenti istintivi e dipendenza. Un pre-trattamento dei topi con naltrexone, un ‘antagonista’ degli oppiacei usato per combattere l’overdose, attenuava invece la gratificazione dell’appetito da sale.

Spiegano gli esperti

Secondo gli studiosi del Florey Institute di Melbourne, il responsabile è il sistema oppioide, lo stesso associato con il senso di ricompensa generato dall’esercizio fisico, dal mangiare cibi deliziosi o dall’attività sessuale. E’ un sistema neurochimico di trasmissione formato da peptidi oppioidi naturali che esercitano azione morfinosimile, interagendo con recettori specifici presenti sulle membrane cellulari – spiega il responsabile dello studio, il neuroscienziato Craig Smith, sul sito dell’Istituto.

La scoperta, sostiene Smith, apre la strada allo sviluppo di farmaci per sopprimere la voglia di sale, e anche di trattamenti per altre dipendenze, in particolare da eroina, morfina e antidolorifici a base di oppiacei, che usano lo stesso percorso nel cervello. Resta tuttavia un mistero, ammette lo studioso: dove si trovi precisamente tale “cablaggio di ricerca del sale”. In paesi come l’Australia si consuma in media tre volte più sale, per lo più in cibi lavorati anche dolci, rispetto alla quantità raccomandata dagli esperti, un cucchiaino al giorno.

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