Malattia di Chron, una dieta può portare alla remissione

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Una semplice dieta, che esclude in modo rigoroso alcuni alimenti, può portare alla remissione della malattia di Chron, grave patologia infiammatoria che interessa l’intestino tenue e il colon e che sempre più spesso fa la sua comparsa in età pediatrica. È quanto ha sperimentato con successo la gastroeneterologia pediatrica dell’Azienda ospedaliero universitaria Meyer Irccs di Firenze. Il regime alimentare è stato consigliato fino a ora a più di 60 piccoli pazienti: in questa casistica nel 70% dei casi, i medici hanno assistito a una completa remissione della malattia, anche se si era presentata in forma severa.

“Quella condotta dal pediatrico fiorentino che è anche Centro di riferimento per questa patologia – si spiega dall’Aou Meyer – è una delle più ampie esperienze condotte a livello europeo. E la terapia dietetica si è rivelata efficace anche in pazienti che non rispondono ai trattamenti medici, perfino con l’utilizzo di farmaci biologici di ultima generazione”. “Siamo molto soddisfatti di questo risultato – spiega Paolo Lionetti, che guida la gastroeneterologia pediatrica  del Meyer – fino a poco tempo fa, ai malati veniva somministrata una dieta esclusivamente liquida che aveva dimostrato buoni risultati, ma era difficilmente accettata. Questo regime alimentare, anche se piuttosto rigido, viene seguito più volentieri da bambini e adolescenti”.

La dieta esclude tutti “quegli alimenti che possono avere una azione infiammatoria per l’intestino, quelli lavorati dall’industria, che contengono additivi, emulsionanti e conservanti. Come detto, la malattia di Chron non è più solo una prerogativa degli adulti. L’esordio, nel 20-25% dei casi, si è spostato in età pediatrica. Questo rende molto importante disporre di un trattamento dietetico efficace che non comporta alcun effetto collaterale” Gli specialisti stanno cercando di mettere anche a punto, in collaborazione con il Meyer, una variante mediterranea della dieta. Per questa ricerca il Meyer è capofila di un progetto che vede coinvolti anche l’Università Sapienza di Roma, l’Università di Foggia e l’Ospedale Sofia Cervello di Palermo e che si è aggiudicato un finanziamento Pnrr da 1 milione di euro.   

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