Sono trascorsi cento anni da quando Sigmund Freud ha concettualizzato le sue teorie sull’inconscio approfondite nello scritto “Metapsicologia” del novembre 1915, gettando le basi per un concetto centrale della psicoanalisi che è stato poi attualizzato e rivisitato nel tempo. Nell’inconscio risiedono, secondo la teoria freudiana, pulsioni e contenuti rimossi che sfuggono alla ragione e condizionano i comportamenti degli individui senza che se ne rendano conto. Per comprenderne l’importanza può essere di aiuto proprio un’immagine di Freud, che paragonò il complesso della nostra psiche a un iceberg: la parte che affiora sopra l’acqua è la parte conscia, mentre tutta la parte sommersa è inconscia.
Sogni, lapsus e altro possono servire a comprenderne il funzionamento. “L’inconscio è il concetto centrale della psicoanalisi – spiega Elisabetta Marchiori, psichiatra e membro della Società psicoanalitica italiana (Spi) – Freud ha gettato le basi per una scienza che continua a esplorare, evolvendosi, le relazioni della coscienza con l’inconscio, quelle tra il mondo interno e il mondo esterno dell’individuo”.
“Nella psicoanalisi il concetto di inconscio si è evoluto e sviluppato nelle diverse teorie, in parte discutendo e rivedendo le ipotesi originarie freudiane, arricchendosi di un fertile lavoro di integrazione con le neuroscienze e le scienze cognitive”, aggiunge spiegando che “i casi descritti da Freud rimangono attuali: oggi le storie raccontate dai pazienti, il disagio psichico, si possono certamente differenziare, ma i conflitti e le vicissitudini più profonde dell’individuo non sono cambiate”.