La chemioterapia riveste un ruolo di grande importanza nel panorama terapeutico del tumore ovarico. L’obiettivo del quarto incontro di “UNICA: vivere col tumore ovarico”, è di illustrare in quali circostanze si intraprende un trattamento chemioterapico, se in fase avanzata di tumore o in fase iniziale, quali sono gli effetti collaterali sulle pazienti e come poterli riconoscere e gestire. Intervengono Emanuela Bellet, paziente e Vice Presidente nazionale dell’Alleanza Contro il Tumore Ovarico (ACTO); la dottoressa Graziana Ronzino, Dirigente Medico dell’UO di Oncologia Medica, Ospedale Vito Fazzi di Lecce e la dottoressa Stefania Canova, Dirigente Medico dell’Oncologia dell’Ospedale San Gerardo di Monza. Il programma è realizzato da Sics con il contributo non condizionante di Clovis Oncology.
Emanuela Bellet racconta: “Festeggio quest’anno i dieci anni dalla diagnosi di tumore ovarico sieroso di alto grado”. Dice “festeggio”, perché è una di quelle pazienti che vengono definite lungo sopravviventi, in cui la malattia, se non è stata sconfitta, si è cronicizzata e viene gestita grazie alle terapie. Ha imparato a convivere con il tumore ovarico, con i trattamenti e ad affrontare la quotidianità gestendo gli effetti collaterali. “Fino a circa cinque-sei anni fa la sopravvivenza delle nostre pazienti non raggiungeva questi lunghi periodi: siamo di fronte ad un grande cambiamento epocale”, commenta Graziana Ronzino. E continua: “ciò è stato possibile grazie alle innovazioni terapeutiche raggiunte sia in termini di chemioterapia (che resta lo standard di cura) sia nello sviluppo di farmaci innovativi, che permettono un allungamento degli intervalli di tempo in cui le pazienti che sopravvivono a lungo non sono sottoposte a chemioterapia”.
Dialogo tra medico e paziente
Come racconta Emanuela, la prima chemioterapia, dopo l’intervento chirurgico, l’ha spaventata. “È il timore di qualcosa che non si conosce”, commenta Stefania Canova, “oltre al fatto che spesso si associa la chemioterapia a disturbi quali la caduta dei capelli, con tutto lo stigma che questo comporta, e comportava, soprattutto in passato”. Oggi sono stati fatti degli importanti passi avanti anche dal punto di vista dell’accettazione della malattia e del percorso di cura. “Credo sia comunque importante che le pazienti parlino di tutto, soprattutto con il proprio oncologo. Le visite oncologiche sono l’occasione per fare domande, esprimere dubbi e il medico può dare informazioni utili dal punto di vista pratico, ma può anche rassicurare la paziente dal punto di vista dell’accettazione e della tollerabilità al trattamento”.
Anche secondo Ronzino l’educazione delle pazienti e gli scambi tra medico e paziente sono fondamentali: “affrontare la chemioterapia non è semplice, richiede educazione e spiegazioni di tipo pratico. La vita è fatta di cose pratiche e non solo di sensazioni. Le pazienti vogliono sapere, ad esempio, se possono prendere il sole, se possono andare al mare o fare la spesa. Per questo dobbiamo dedicate del tempo alle nostre pazienti e affrontare tutti questi aspetti”.
La paziente va rassicurata ed educata anche alla recidiva. Il tumore può ripresentarsi, ma questo non implica una sconfitta. “Per le pazienti il momento della recidiva può essere molto doloroso e faticoso”, osserva Canova. “D’altra pare, dal punto di vista terapeutico, ci sono delle enormi opportunità che vanno dalla chirurgia alla terapia medica. È l’inizio di un nuovo percorso di cura, che può essere anche molto complesso e che spesso comprende nuovamente dei trattamenti chemioterapici, ancora efficaci nel momento in cui la malattia si ripresenta”. Inoltre, precisano le dottoresse, tra un ciclo e l’altro di chemioterapia bisogna tornare a parlare di effetti collaterali, perché ogni nuova linea di trattamento può avere degli effetti diversi.
La vita quotidiana delle donne in trattamento
È chiaro quindi che le donne che ricevono una diagnosi di tumore ovarico e intraprendono un percorso terapeutico hanno bisogno di rassicurazioni e di indicazioni su come affrontare la terapia. L’obiettivo, per i medici e per le pazienti, non è più e non può essere solo la sopravvivenza. Le donne devono poter vivere la loro vita quotidiana, nel modo più sereno possibile. E devono poter svolgere tutte le attività quotidiane che le fanno sentire bene con loro stesse.
“Le donne sottoposte a chemioterapia non solo possono, ma dovrebbero fare attività sportiva”, spiega Canova. “La letteratura scientifica suggerisce che l’esercizio fisico migliori la prognosi dei pazienti con cancro, la tollerabilità ai trattamenti e aiuti a prevenire e a gestire meglio alcuni effetti collaterali, come la stanchezza. Permette di prevenire dei disturbi legati al trattamento, come ad esempio la neuropatia, e ha un impatto sul tono dell’umore”. Le pazienti devono sentirsi libere di parlare anche della propria sessualità, perché fa parte della vita di tutti i giorni, di una buona qualità di vita.
Un altro aspetto, che non sempre viene preso in considerazione, è l’importanza, per le donne, di non sentirsi malate e costantemente a rischio di vita. Questo ha un peso sulla qualità della vita. “Le nostre pazienti devono avere la libertà di pensare a progetti futuri, a lungo termine. Non devono sentirsi malate in modo irreparabile, ma sentirsi come altri pazienti affetti da malattie croniche che hanno un peso sulla loro vita, ma che lasciano loro la libertà di non pensarci, di giocare a tennis, di programmare un viaggio, una crociera, una gita, senza preoccuparsi di quello che può succedere il giorno dopo”, commenta Ronzino.
Negli ultimi dieci anni la condizione delle pazienti con tumore ovarico è cambiata profondamente, e Emanuela dà un messaggio positivo, di speranza, a tutte le donne: “Si può convivere con il tumore. Sin dal primo ciclo terapeutico i medici mi hanno detto che la malattia si sarebbe potuta cronicizzare, e nel corso di 10 anni ho avuto moltissime opportunità nelle cure. La cosa fondamentale, nel percorso, è instaurare un rapporto di fiducia con l’oncologo e parlare con gli specialisti di ogni dubbio o fare riferimento alle associazioni, che sono sempre in contatto con i clinici”.